Il legame triadico, inteso come l’unione affettiva che si crea nel periodo perinatale tra madre, padre e bambino, prima e dopo la sua nascita, è fondante per il benessere fisico e psichico della diade madre e figlio, ma anche per quella di quella famiglia in divenire.
È dimostrato che il sostegno paterno alla donna crea delle condizioni che favoriscono la salute perinatale del feto e della madre, promuovendo una gravidanza, una nascita e un post partum migliore, sia dal punto di vista psicologico che da quello biologico (Bertozzi N., Hamon C. (a cura di): Padri & paternità. Edizioni Junior, Bergamo, 2005)

Quando noi operatori della nascita integriamo il padre, in quanto fattore protettivo essenziale per la salute perinatale, mettiamo in atto uno degli strumenti più efficaci ad una prevenzione primaria a lungo termine.

Con questa convinzione, vanno costruiti e ripensati i percorsi nascita, che spesso lasciano uno spazio residuo ai papà, sia fisico che simbolico.
Ereditiamo una recente cultura sociale nella quale il padre, durante il periodo perinatale, è relegato ad un ruolo secondario (nella migliore d
elle ipotesi), più spesso è deriso e di fatto comunemente escluso dalla maggior parte dei corsi di preparazione al parto.
Tale abitudine porta con sé il messaggio implicito che il padre sia pressoché inutile ai fini di una buona nascita, che tutto dipenda infine dalla competenza e dalle capacità femminili della donna che partorisce e dell’ostetrica che la accoglie. Tale visione ha fin da sempre accompagnato la scena della nascita, fino a quando, negli ultimi decenni, si è comunemente deciso (praticamente in tutti gli ospedali), che il padre potesse (o dovesse?) essere presente durante il parto.
Tale presenza però non sempre è sostenuta da una cura e da una sufficiente preparazione da parte delle istituzioni, che, in generale, hanno trasformato una buona idea (il fatto che il padre possa accompagnare la nascita del proprio bambino) in una ideologia, poiché tende a giudicare come inetto quel padre che non se la sente di essere presente (gettando nell’imbarazzo la donna che ha la sventura di averlo come compagno).
Se nei CAN perpetuiamo ad includere benevolmente i padri al massimo un paio di volte, se come operatori, tra il serio e il faceto, sminuiamo e squalifichiamo le capacità paterne di accompagnamento alla nascita e di accudimento del bambino e della madre nel puerperio, non credo in realtà che rendiamo un buon servizio ad alcuno dei membri di quella famiglia, piuttosto agevoliamo delle condizioni critiche in uno dei passaggi più delicati e vulnerabili della vita di coppia, ovvero della madre e del padre di quel figlio, generato proprio dalla loro unione.
Affinché il padre possa prendere davvero il suo posto, e quindi rendersi utile anche quando le condizioni di un parto siano difficili e complesse, è necessario che nella mente dell’operatore sia chiaro che la persona che può essere di maggior supporto per la donna e il bambino, e quindi favorire, integrare, recuperare un bonding inizialmente ostacolato, è proprio il padre.
Per raggiungere tale obiettivo serve:

Immaginare il papà come contenitore ideale del legame diadico.

“Il compito più importante del padre è rendere felice la madre, che lo ha reso padre di quel bambino”.
Afferma Françoise Dolto. Non una sostituzione, non un altro figlio da accudire, non il genitore di quella donna, non un mammo. Ma un uomo, con un’approfondita conoscenza di quella donna e dei suoi bisogni. La donna con la quale fa l’amore e condivide un’intimità profonda, che noi come operatori non conosciamo, ma che può risultare molto preziosa ai fini di ristabilire un clima di fiducia ed equilibrio emotivo.

Accoglienza.

È fondamentale accogliere le emozioni, talvolta lo spavento e la paura, il senso di impotenza che il padre ha provato se il parto è stato difficile. È importante che l’operatore si metta nei suoi panni, tenga conto con rispetto di quei sentimenti che talvolta possono essere traumatici tanto e anche più di ciò che la donna ha vissuto, perché sostanzialmente legati al sentimento di impotenza, cosa che risulta in profonda dissonanza con l’istinto maschile di salvare, difendere e proteggere gli affetti e la prole. A volte il papà può sentirsi come se avesse avuto le mani legate, senza capire cosa stesse succedendo davvero alla sua compagna e a suo figlio. Il padre è in un assetto ormonale differente da quello materno durante il parto: a lui spetta il compito di rassicurare e dare forza, senza perdere però il senso della realtà. Il padre durante la nascita intercetta gli sguardi, i silenzi, le parole tra gli operatori, si preoccupa, ma nello stesso tempo si impegna nel non far trasparire la sua inquietudine alla donna. Fa scudo, ma dentro rimane morbido.

Ascolto unito a parole che spieghino in modo chiaro cosa sia accaduto,

poiché per quell’uomo ora è essenziale recuperare fiducia nel fatto che quanto eseguito è stato il meglio che si poteva fare. In caso contrario avrete di fronte un uomo diffidente, forse anche arrabbiato, e la rabbia porta distanza e rancore. Tenerne conto può fare la differenza, anche in termini di successive conseguenze medico-legali.

Rispetto.

Imparare a rispettare il padre in quanto elemento fondante e legame per la vita di quei due individui in difficoltà. Inoltre è importante riconoscere che tutti loro, padre, madre e figlio, hanno bisogno gli uni degli altri. E’ di grande valore spiegare al papà perché sia così importante che quel bambino e quella madre si ritrovino dopo una nascita difficile, che forse li ha addirittura visti a rischio della loro stessa vita. Dare rilevanza al suo ruolo sia nei termini di vicinanza, ma anche di “lontananza protetta”, regolatore di affetti e sentimenti, sostegno, quando la sua donna ha bisogno di riposo e conforto da un’esperienza che può averle lasciato delle ferite profonde. Dare fiducia alla sua capacità di cura, attenzione e amore, come il farmaco più potente che esista al mondo per curare quelle cicatrici.

• Tempo.

Fermarsi, pensando che il tempo dedicato al padre, fatto di accoglienza, silenzio, parole, spiegazioni, ascolto, rispetto ed empatia, sia ingrediente essenziale per quella donna e per quel bambino, per la loro cura e guarigione.
Sulla mia scrivania tengo una matrioska. Ad un certo punto del percorso che propongo alle coppie che accompagno durante il periodo perinatale, la apro con calma di fronte loro. Al centro c’è il bambino: lo prendo, lo mostro e lo ripongo dentro alla “pancia” della mamma. Lo scuoto e spiego: “Il bambino piccolo è protetto dentro la mamma”.
Prendo la matrioska poco più grande e dico: “Questo è il papà che ha una grande pancia al cui interno c’è la mamma che contiene il bambino.”
Ma attenzione, fuori dal papà c’è ancora una matrioska, quella che rappresenta la famiglia dei tre e tutte le persone che vogliono loro bene. Scuoto la matrioska e la apro di nuovo mostrando il “papà”: “Lui è la pelle, tra il dentro e il fuori, è funzione paterna osservare come stia il dentro, compito paterno essere confine, delimitare chi entra ed esce, comunicare con la famiglia che sta all’esterno, monitorare e chiedere aiuto se serve, proteggere l’intimità della triade”.
Infine c’è l’ultima parte della matrioska, la più esterna che la chiude. La mostro e domando loro: “Chi è?” Qui tutti si tacciono.

Chi è?

Sono gli operatori alla nascita che hanno accompagnato quella coppia durante la nascita. Rappresenta la società, le istituzioni, l’ospedale, la politica, che hanno la funzione di tutelare tutte le famiglie del mondo.
Anche quando il parto è stato difficile.
Pubblicato su D&D n. 102

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