Voglio fare una domanda provocatoria: cosa esiste di maggiore responsabilità che fare un bambino?

Eppure la società pretende nella maggioranza dei casi che le donne rimangano performanti e attive nella stessa maniera di prima. Le donne stesse si giudicano adeguate solo se riescono a mantenere lo stesso ritmo di vita precedente.
Eppure un feto ha bisogno di tempo, di pausa, di riposo, di calma, di passi lenti, di mani attente, di voci sensibili alla sua presenza.
Non facciamo confusione: la gravidanza non è una malattia.
La donna può fare, essere e volere ciò che sente che le fa bene, perché in generale se fa questo istintivamente fa il meglio per se e per il suo bambino.
Ma per poterlo fare ha bisogno del tempo necessario ad ascoltarsi, di potersi porre la domanda: come sto oggi? cosa provo ora? come stai tu piccolo mio nella mia pancia? Che ne dici: ci riposiamo un oretta? Mangiamo una cosa? Andiamo a fare una passeggiata?
Quindi ascolto.
Un ascolto empatico per se stesse e un ascolto intuitivo che si rivolge al bambino che cresce, un ascolto amorevole paterno ai bisogni della futura madre e un ascolto attento da parte della famiglia, un ascolto non giudicante da parte della comunità attorno e un ascolto supportante da parte della società tutta.
Perché si: quel bambino è figlio di un uomo e di una donna, ma la sua salute presente e futura è una responsabilità di tutti, che inizia dal favorire le condizioni ottimali per un concepimento, che attraversa la fase della gestazione con rispetto e presenza, che offre la possibilità della migliore nascita possibile, che sostiene un allattamento e un accudimento adeguato al fine di promuovere la salute bio-psico- sociale a lungo termine di quella persona in divenire.